Da tante esitazioni preso, in questo tredici
di un aprile mediocre,
che un passaggio lento di nuvole ha invaso,
mendicando mi vado
un’idea un sentimento.
A mani tese mi presento a me, che ripulsa mi faccio,
non pronuncio parole, taccio
sia la prece, che mi assale di dentro, sia l’invettiva.
Quale ferita sento, ché la allaga la rabbia
ché il mio cuore batte e slabbrandosi dilava
ogni mio sangue intorno.
Oh disadorno cuore, oh palpebre socchiuse,
oh speranze deluse!!
Nel silenzio, rannicchiandomi sto, stanco e malmesso
d’un mio avaro tepore geloso.
D’altri morti dovrei, d’altri paesi urlare
senza farmi fermare, senza che compromessi
mi trattengano.
Nel mio sangue Israele urla e saccheggia,
nell’altro me Ismaele
alza la spada a strage. Senza pace m’accoro.
Se fosse giusto andrei, potendo
lo farei,
se fosse necessario…
Ma la breccia, il divario fra l’opportuno
e il giusto
mi s’allarga.
Alla mia età non conta un sacrificio.
Scolpisco solo di parole
l’aria
e m’affliggo e sospiro.
Inutile richiamo lancio, fievole, e strido.
Non un grido o un appello. Niente
più di un rumore.
In questo tempo che non capisco,
senza che il mondo l’avverta,
solo a volte
stormisco.
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