Se la noia ti opprime
se nel fondo non trovi più le canzoni, quei cori
che andavi dicendo
liberi,
quando t’accorgi che…
Quando t’accorgi. E poi
devi ancora percorrere, andare.
Senza parare colpi, porgendo il viso
senza sorriso,
standotene liso in un canto, espiando
quello e quell’altro.
Nient’altro importa da imparare
quando sale la marea
e ti conduce via in piena, in piena luce
che c’è, di luna o di sole,
ma che è,
che sta lì illuminandoti a domandare.
Vieni, vieni, ti dice e tu
tu te ne stai. Stare, riposare,
attendere.
Invece di gorgogliare, di fare polla
della tua acqua, ché potresti aver lavato
il mondo
tutto dalle valli alle cime.
Perché ce l’avevi, lo possedevi il mondo.
Immobile un girotondo
intorno a te stesso fai, la mani contrai
per non colpirti, per ferirti basta ormai
poco
ed è un gioco che fanno ormai tutti.
Il lutto del tuo non essere ti dilania.
La litania canuta e seriale
non ottiene più compassione.
E vengono i rimpianti. A guarirti
qualcuno forse tenta, ma quanta fatica.
Una amica, tu amica mia cerco e la tua mano
che sa e mi conosce mi trova
e le angosce tutte mura fuori.
Per salvarmi, tu sola lo sai,
basta un gesto, un toccarmi.
Lieve.
Come di neve.
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