In questa estate
priva di morale ove stuprare e uccidere
(sgozzare) è quotidiana opera
ove si dibatte delle stagioni del dopo
e della colpa
e vecchi e laidi radicali liberi (ancora)
giullari
del proprio essere stati si fanno,
nessun danno mi può venire o percepisco possa
da fuori.
Parlo sempre di me che tento di conoscermi,
altri sanno, altri fanno,
tutto risolveranno, le loro conclamate ragioni
mi sconvolgono, nella mia ignoranza cosciente
consapevole e impenitente
un sistema albertoelico albertomaico
costruisco
e lezioni do e impartisco su di me solo.
In questa estate
di pochi giorni eppure senza fine
con tante belle sgualdrine da guardare
(che pena non toccare) peccato mortale
è l’età
che è l’unica cosa che non se ne va
che s’accumula e cresce
intorno all’anima leggera incosciente
giovane accidentallei impaziente (che cosa darei
per farla invecchiare)
per non farmi infinocchiare
per quei cinque secondi di troppo che l’occhio
ghiotto
delle donne percepisce il gusto
che te lo dice il modo di camminare
di allontanarsi senza guardare
che è un po’ prendimi ma stammi lontano.
Divago sul divano ridendomi addosso
saggio a più non posso
colmo di odori e sudori
in questa estate caldissima
penosa e tristissima
di morti ammazzati di becchini impiumati
con cui si va a congresso
di bambini buttati nel cesso
di genitori squartati per una minestra
di impiccati sdraiati a terra
di stragi ventennali rivangate incementate
nella menzogna,
nella vergogna d’essere qui e adesso, italiano,
con solo un foglio in mano
e tanta vigliaccheria nello scrivere quello
che sia sia.
Che sia il caldo, che sia
l’incontinenza
che sia il rimpianto dell’innocenza
che sveglia una coscienza sopita rattrappita.
Che sia non so dire.
Lasciatemi farneticare.
Signore mio così lontano
che ci stai a fare?
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