Rischiara il cielo,
( serrare forte gli occhi, stringere
le palpebre indifese
contro il rosso del sole ) calore attingo
dall’intero viso.
Un incerto sorriso fingere
una accurata mimetizzazione
d’una azione meditata a lungo
ossessivamente pensata.
Una forzatura del vivere
a cui ti sei adeguato,
un pigolare, uno stranìo di pulci.
Ondeggiando, vagolare un po’ di là
un po’ qua
sull’ali della fantasia
che pure è rimasta intatta
quasi nuova. La prova è che non cessa
di domandare
di ricordarti che non devi dimenticare,
ché non è lecito, è proibito.
Non un ostacolo grande, ferrato,
ma un semplice paravento
che a un soffio d’aria trema.
Non un guerriero alla porta, armato,
ma un refolo di fiato
che ti spinge indietro e che t’arresta.
E’ così che la festa,
la festa infinita della vita, si spegne.
E non vale lottare.
Rimane da guardare il cielo
ad occhi chiusi
sotto il calore del sole
finché la palpebra si faccia viola
dentro
e t’esca un fiotto di saliva e muco
piangendo.
Ché solo questo è rimasto.
Grave perdita e danno
spegnersi
senza aver dato luci.
Giullare, introduci una canzone nuova!
Balliamo, cantiamo.
Teniamoci stretti per mano.
Un segno di pace tentiamo.
Un segno, almeno, come questo,
sia pure di finta allegrezza,
lasciamo.
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