Inoltre solo desiderandolo
volendolo fortemente
muoveremmo i soli
e tenteremmo i cuori e capiremmo Dio.
Ma nella terra ribattuta, nell’ammucchiare sassi
nell’incosciente andare a fare sera
nella risaputa canzone che era fresca ieri
e oggi marcisce appena
più che colore odore, più che sapore
memoria
più che certezza fumo
di quel porsi fra la luce e l’oscuro,
di quel darsi piedistallo,
di quel controllo mancato di quel donarsi
fallato
sbocconcellato, di quel fiato
pesante
e la palpebra molle e l’orbita avvitata
spanata.
Avvedendomi.
Di quel c’ero anch’io che non è stato
di una vita fiato
veloce rifiatato.
Sulla soglia frammentata dal gelo
di una luce nuova
sull’ammasso di stelle senza nome che piove
e mi stupisce ancora
sui silenzi, i pochi intendimenti meditati,
sugli starsene immobili annoiati noi
come una serpe al sole.
Sulla inutilità di questa identità sola
voluta
saputa.
Inutilmente immagino me stesso sentinella
di un Dio che m’arrovella.
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