La Ballata delle Twin Towers

 

Girovaghi ci ritroviamo, pellegrini soltanto
per un cammino assegnato
che non ci è dato compiere appieno e capire fino in fondo.
A salire incessantemente tesi, protesi
ad una meta
che balugina laggiù, stella o fornace,
che non è dato di sapere, che non è a portata
d’una sensibilità come quella che possediamo
malata e animale, che’ siffatte cose
ad altro mondo a noi completamente ignoto competono.
Non al nostro.
Un rostro rovente dilania, ci si appassiona
e si muore
per mille futili occasioni. Rari perdoni
anche questi dilapidati
in televisione, perché perdonare non è
da comune mortale
ma da persona irreale e posta più in alto,
dallo sguardo vibrante e teso.
In primo piano, da consumati attori.
Ora
dopo questo undici di settembre è come un velo
che si dilaceri
come il velo del tempio che strappandosi
invochi un dio, una presenza da troppo rimasta lontana,
che abbiamo chiuso fuori, nei suoi dolori
che non vogliamo ricordare
più.
Il nostro sangue è continuato a scorrere
dopo l’undici di settembre, culmine di tante altre date
volutamente dimenticate
di campi profughi arrostiti, di vivi morti
lentamente disumanamente
rapinati di dignità, bruciati e spenti.
Ognuno di noi dovrebbe mettersi in disparte
a meditare
senza odi di parte, senza rancori.
Non ci sono più veli oggi che impediscano
allo sguardo di indagare.
Una mano tesa, le nostre mani avare,
tese e senz’armi,
ad esplorare altri visi altri pensieri
disposte spero siano.

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Fu solo un attimo fa e il cielo prese fuoco, si colorò
più vivo di quanto fosse il giorno.
Per quanto fosse possibile capire o appena percepire
s’era aperta una falla
nell’immobile assurdità dell’io.
Dell’io sono, da solo mi son fatto.
E accade così che anche così lontani noi si voli
ancorati a una scelta
di certezza di morte meno lenta, giù verso i visi
più conosciuti
verso le mani inutilmente alzate ad afferrare, a proteggere
il tempo della gioia.
Ma che nessuno voglia rammentare quanti altri visi
quante altre mani tese, quante attese
di chi poi non ritorna, porta vergogna.
Cavalcano oscuri personaggi codazzi di parole
solo quelle che facciano consenso. E i più
guardandosi di dentro
ammiccano a un interno sollievo d’essere distanti
lontani da quello che è accaduto, da ciò che avverrà,
racchiusi in un paradiso perduto ripieno di cose
di cose e cose da toccare
assaggiare e riporre per l’inverno.

In solitari cieli volando, le rassegnate membra
solo un poco agitando
se ne sono andati giù i moribondi incontro
ad altri moribondi che salivano.
Qualcuno che si riteneva oltraggiato rideva, i figli
di altri morti applaudiva.
Solo un lembo di cielo rimaneva sgombro, l’occhio
calamitando malgrado.
Io, tu, disperati, venivamo giù agitando
solo un poco le mani, seppure lontani.
Domandandoci l’uno all’altro urlandoci
dei nostri figli il domani.