Di te, di me, d’ognuno...

 

Di te, di me, d’ognuno.
O di nessuno.
Il perché delle primule mi chiedo,
dei ciclamini.
E le violette poi a che servono?
Ditemi voi.
C’è un chiarore, uno scampanio di colori
che ti porta fuori all’aria
al sentirla sotto la maglia, impudica, che sfregola
e t’afferra,
ancora fredda, per l’ora, ancora fredda.
Siamo prede dei sentimenti
degli accenti inutili, delle emozioni improvvise
per marginali accadimenti,
come ci furono promesse,
le stesse che provavamo nel giardino dei piaceri
pochi momenti fa, soltanto ieri.
Delle porte che mi chiusero in faccia
è giusto si taccia,
giustificare le colpe non è permesso,
ritornare fratelli, dopo Caino, non è concesso.
Il sole che ora penetra nei vestiti
ci introduce alla gioia degli occhi,
ai suoni rivisitati della primavera,
alla notte che s’allontana,
alla luce del tramonto, puttana che ti sedusse,
ai sentieri a cui ti induce il bosco,
agli angoli che non conosco,
alla voglia di assorbire respirando,
così come fanno gli alberi e le pietre.
Che stanno immobili, o, forse,
hanno movimenti che non percepisco
che in altra unità di misura esistono,
movimenti come nascere, morire, mutare forma,
dare rifugio ad edere e animali
o solo muschi.

Vorrei che tu capissi, ma non puoi,
vorrei esprimermi meglio di così.
Ma la sete del tempo vola
l’arsura non si consola mai, non si controlla
e una folla di tremori mi assale
divora anche te, adesso che resti sola.
Pensami dopo la rabbia, pensami
dopo i rari amori.
Pensami in qualche modo
che ti scuota, che ti faccia bene o male
non conta.
Rimani pronta per quando verrò da te
o verrò via da te
all’improvviso.

Per ora ciao.
A presto. Ti bacio sul viso.
Dolce patire il meditare
morbido alare su cui poggiare
le passioni riposte.
Domandare hai cessato,
che sia senza risposta ciò che fai
ciò che pensi,
non ti dà turbamento.
Affina i tuoi sensi
mantenendo un atteggiamento costante,
assimilandoti alle piante
ondeggiando
solo se il vento dalla valle preme.
Il vaso dei desideri è vuotato
nulla contiene adesso
e accanto a te nessuno chiede o confida.
Terminata è la sfida
della vita, ma questo non t’importa.
Una leggera nebbia
dalla palude delle rimaste voglie sale
desuete forme prendendo.
Non consente più al cuore di volare
e poi non ne ha più voglia.
Sulla soglia di questa nuova via
taccio e ristagno.
Silente, non mi lagno,
immobile, inchiodato, sibilo fuori
il fiato
senza fare rumore.
Il cacciatore della mia sorte è all’erta
lui sa l’ora e la posta
e ad ogni mio pulsare, a ogni respiro,
sempre più a me s’accosta.
Lascio stormire l’anima col vento
e la vedo danzare.
Dietro di lei non guardo,
dietro, dove sfarina fra le dita,
come fosse per gioco,
lo spreco che permisi della vita.

Canto d'inverno. Mia ultima stagione