Precedenti paesaggi mi figuro,
prima che questo mi assorba,
ché di colori e forme delle nuvole
sembra abbia dato fondo alle possibilità del cielo.
Come un velo di nebbia si distende,
un accecarmi lieve
e sfumano i contorni delle cose che ho accanto,
greve la testa pesa.
La lunga attesa medita. Da sola.
Mi consola il raschiare delle foglie
che un corvo sparpaglia più in là alla ricerca
e il saltare di ramo in ramo
grazioso
del lanoso scoiattolo nero
che mi ruba le noci, soltanto verso sera.
Malgrado ciò la gola mi si stringe
d’una pena di me che non mi lascia
una pena, un’ambascia
che parte da lontano,
da quando ho capito ch’ero quasi finito.
Non per le stanche mosse, né per gli occhi
cisposi, né pei dolori
che non mi lasciano mai, non per i guai,
pochi del resto e avari di saggezza,
né per le vuote ore.
Per la speranza che non c’è
m’accoro,
per l’amore che non verrà,
per un aldilà senza luce,
per la voce tua aspra e distante,
per le tante cose dimenticate,
per le estati passate, solo, per il suolo
incalpestato dell’avventura,
per la paura che ora ho del diverso,
del nuovo, dell’inusato,
pel vuoto del mio universo
inondato di inutilità,
pel non dato che sta là e mi contesta,
per la festa mancata
dell’essermi realizzato,
per l’affascinante favola che nessuna dea
mi ha regalata,
la favola di una vita piena,
la sola che potessi avere, conoscere e cambiare
a mio piacere
rimasta a marcire in un lupanare
chiuso per legge.
Di un florilegio di idee, di identità,
nel restarmene qua, immobile,
rimasto senza.
Senza che, senza che, poi non so.
Né dopo lo saprò.
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