Ben vengano i tempi nuovi
seppure non li capisci
in questo correre come un fiume
di voglie di novità che portano via le idee
abbandonate a marcire sul greto.
E tu ancora implume, fanciullo
inutile
tu, futile avvenimento,
tu milite ignoto del superfluo,
tu superficiale animale
che vai
che vieni, che ti stremi in inutile fede,
che non vale nemmeno narrare.
Lupo mannaro della fiaba,
cappuccetto rosso delle speranze,
possessore della scarpa fatata,
gatto senza stivali che dicevi: è mia,
questa vita è mia,
io sono, io ho detto.
Prodotto di un cerro montano
con rari frutti, fra le frasche rade,
con una luce all’anno
e poi più niente.
Nullatenente d’anima,
aspirante al cielo che non ha mai cessato
di chiamarti.
Posseduto e lasciato, guitto
d’arti varie
anche queste d’accatto, d’occasione.
Fuggi, corri
ossessivo
coi battiti del cuore ripeti.
I lievi baci
i toccamenti impalpabili ripensi
e ti innamori di quel che non è stato.
Liete voci trascorrono sul poggio
casta la sera ondeggia
in un vapore umido e boschivo.
Di te privo ti trovi
ed all’udito e all’occhio
non dai credenza.
Pazientemente, ossesso,
inghiotti un grumo di rancore, di rabbia,
per quel che non è stato
e più non conta rimestare
quel che non ha più forma
nemmeno nei tuoi sogni.
Lenta viene la sera, lenta e inesorabile
la notte arriverà
piena di voci e d’ombre.
Ad occhi spalancati, i sensi sfatti,
tutto ti rivivrai.
Di tutte loro che ti furono accanto
il perdono, l’affetto ed il sostegno
un’altra volta ancora
implorerai.
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