Mentre si era cercato di provarle
le nostre idee si sfecero.
Erano e poi non più.
Delle canzoni dei nostri giorni primi
le parole perdemmo ed anche il senso
dimenticammo
e le mani dell’altro amico strette
o alzate a pugno non trovavi più.
Una partenza presero gli anni falsa
ed un lasciarsi andare si impose,
un vivere per vivere apprendemmo
fingendo d’aver scelto.
Solo per brevi attimi, attingendo
all’ebbrezza che pure c’era stata
del capire
dello stare a sentire
anche gli altri, che si raccoglievano
da dispersi, che erano ora con te,
assieme a te per sperare
in un sole che sorgeva,
ah come sorgeva, lontano e vicinissimo,
che dava quella luce che sapevi,
ti compiacevi
del tuo poter capire.
E intorno il vuoto mondo si riempiva.
Una globalizzazione di idee
che pescavi in mille paesi diversi
e che sembravano quelle giuste e le anguste
porte della tua periferia
spalancavano.
Frantumatasi la emozione di quella stagione,
di quella cosa che sembrava bella,
oggi ci rimane il mercato
dei prodotti gridati, griffati,
che ora ci inseguono perennemente
e della moneta che ti spia
da ogni angolo della via.
Illusione era quella
che pure ci ha cullato.
Alla voglia di qualcosa in cui credere
dava fiato.
Dava fiato alla giovinezza.
A quella impalpabile cosa che era l’età
e la speranza
di cui appena percepisci ancora
il sapore.
Ancora adesso, ancora oggi, ancora
mi rimprovera il battito atriale, scomposto,
d’avere abbandonato, vigliaccamente, il mio posto.
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