Un libro a caso, un libro aperto, invito
che non mi è dato
rimandare. Rinnego le letture
veloci,
le voci dei conversare stringate,
le stanze non studiate, il mancato riflettere
sull’ambiente e sui suoni,
l’essere proni al fatto, all’accaduto.
Sprovveduto lettore, quasi uno stipendiato
ad ore
a quantità di trame e di finali.
Ostacoli naturali, fenomeni
mortali
che ti portano fuori dal piacere, dal credere
ai creatori
a quelli che te guastano dentro
facendoti vedere l’inesistenza e la trasparenza
della tua carne, immagine
soltanto.
Un disegno, una foto, un libro
traspira
un qualche odore suo, non di carta marcita,
una nascita di pensiero
che ti eri segnato su un margine,
che non supponevi potesse essere tramandato.
Quando ti metti
a osservare, ma te ne accorgi
all’improvviso,
le macchie sul dorso della mano che sfoglia
non fai che scrutare
verso il buio, avanti,
chiamare altri sguardi che ti tocchino.
Nella leggerissima ebbrezza a cui mi costringi
almeno tu fingiti
parte della carezza che mi dai.
Che non sia per la noia o l’abitudine.
E, ancora una volta, evita di attenderti
gratitudine.
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