Pareva cha la luce se ne andasse...

 

Pareva cha la luce se ne andasse
con discrezione
dando all’occhio
una silente pena. Graduale.
In eguale misura anche i rumori
più fievoli, sommessi diventavano.
Si accanivano invece
uccelli loquacissimi
con gli ultimi arrivati, prepotenti,
un posto a ritrovare per la notte
su quei soli speciali alberi scelti
del bosco a lato.
Avrei parlato anch’io
se mi fosse per poco stato dato
e possibile farlo.
Ma non ce n’era il tempo.
Rumori mandava l’aria di lontani
temporali d’estate
e l’occhio si attardava sulle nuvole
incrociandole prima
e poi seguendo il mutare del corso
e delle forme.
Me ne restavo lì seduto e zitto,
composto atteggiamento,
mordendo un freno inesistente, rompendo
un impegno cosciente
a non reagire. E torme di pensieri
che pochi momenti fa m’erano dentro
distanti e muti rimanevano.
Al limite, al limitare restavano dell’essere.
Composto e quieto
senza nulla chiedere, senza recriminazioni
quasi in una orazione, in questo silenzio
immoto,
sono tutto un fremere, tutto un domandare.
Del perché mi sia fermato qui
in questo preciso giorno
e se attorno m’avvolgesse amore.
Se il dolore
che provo della inutilità
che vedo constatata, che mi è ripetuta
a sazietà
ed oltre
sia lecito che sia.
La mia preghiera va, muta e insistente.
Va in su. Per abitudine.
Nella forma che muta delle nuvole
si impiglia.

Canto d'inverno. Mia ultima stagione