Le medesime cose invento
che feci e consumai
e poi inventario tutte
come se fosse un obbligo contarle,
come se fosse un impegno ricordarle.
A lato a me, sul foglio che s’allunga,
la mano mia racconta,
sfoglia la mente nel dipanato andare
ogni nascosto dove.
Con certosino affanno raccolgo prove
e fatti e non mi lagno
che un premio, una mercede,
al lavoro che compio non ci sia.
Passa via il tempo, se mi fermo
è peggio,
l’inutile operare mi confonde
e difende dal buio della sosta.
Stesse parole e gesti si ripetono
ma nessuno saprà, nessuno sbaglio
sarà imputato a danno.
Qua e là bugie e omissioni fra le tante parole
non s’avvertono.
Certo è che debbo farlo.
Una imperiosa voce, come un tarlo nel cuore,
m’obbliga e mi confonde.
Ad ogni volger lo sguardo quella voce
mi riprende
e sospinge a raccontare.
Di me, di te, di voi tutti è curiosa.
Quello che pensi, se a riso o angoscia
o altro
quello che scrivo la sospinga, ignoro.
Completata la carta lo saprò,
oppure rimarrò
silente e inerte come sasso nel suolo conficcato,
inutile, che a volte al sole brilla.
Di riflessa Sua luce solamente
inconsapevolmente scintilla.
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