Dubitando d’esistere m’arresto, me ne sto...

 

Dubitando d’esistere m’arresto, me ne sto
chiuso in un canto d’arpa
quasi che un nido fosse, ma senza volti attorno
eppur di reali presenze
fatto gioco.
Me ne sto qui per poco, in sicure
riconosciute stanze ruminando
senza guardare indietro.
Pericolo sovrano è cercare lontano una ragione
perché non ci fu dato altro che il dubbio
insieme alla paura
di ciò che subiremmo.
Frignii bambini, versi di animali
sono i nostri vagare, questo incessante andare,
questo volere
che ci nega il piacere della vita.
La infinita presenza, che non è conoscenza
ma solamente attesa,
pesa e rimuove i giorni.
Presentimenti, piccoli accadimenti,
in trasalir si mutano sovente
e il percepire il niente che potrebbe venire
ravviva la coscienza
del costante morire che ci è imposto.
Stranieri in ogni posto in cui vivessimo,
meteore di coscienza,
soltanto in apparenza vivi adesso.
Sempre più spesso i nostri occhi apriamo
come se un aldilà fosse concesso
scorgere.
Appena un attimo.
Un sentimento fa.
Dubitando mi invento di restare
o almeno di comprendere qualcosa.
Alla resa m’arrendo recalcitrando un poco.
Misero me, miseri noi, mi invento,
misero me, mi dico.
Un grido senza suono.

Giù alla foce del fiume stiamo andando
navigando a deriva.
Confido in Dio che di me, che di noi
vergogna non risenta.
Che ci stringa, ci unisca e ci consoli
tutto sapendo.
Senza niente chiederci.

Canto d'inverno. Mia ultima stagione